Sbrigate le formalità burocratiche con la Protezione Civile in cui dichiariamo che se moriremo è colpa nostra, veniamo affidati ad Antonio la nostra guida vulcanooogica.
La salita è bellissima tra ginestre e distese di cisto in fiore, una specie di trionfo floreale all'ingresso di un tempio.
A quota 500 la vegetazione lascia il posto al paesaggio vulcanico, si sale in rispettoso silenzio circondati dal mare e di tanto in tanto come un'onda di tempesta che si abbatte sugli scogli, si sente la voce del vulcano.
Ci mettiamo i caschi e anche questa vestizione aggiunge un che di rituale al nostro procedere in fila indiana come in processione.
Il sole sta calando e in bocca si sente il dolciastro dello zolifo, un boato e si vedono pietre nere che schizzano verso il cielo.
Arriviamo alla cima e ci disponiamo a semicerchio attorno al cratere, cento metri sotto di noi le cinque bocche di Stromboli ribollono.
Si ride per scaricare l'emozione e mangiamo velocemente con il formaggio e la mela che cercano di vincere l'intenso odore di metallo.
Il sole è calato e ora al rumore del boato si aggiunge la vista dei getti di lava.
Ogni bocca sembra avere un suo carattere, la più larga è solo un pentolone in ebollizione da cui trasluce il magma che contiene, quella di sinistra a cicli di dieci minuti lancia getti altissimi preceduti da un ansimo e un ruggito.
Il cratere di destra invece impiega più tempo a caricarsi di energia e quando la scarica le pietre incandescenti ci superano in altezza.
E' quasi notte e ci prepariamo alla discesa, con le pile che ci illuminano il passo.
Scendiamo nela cenere come in neve fresca con passo veloce che affonda fin sopra la caviglia.
In un tratto in costa mi volto e vedo le luci delle altre comitive che discendono, bruchi di puntini luminosi sotto un cielo pieno di stelle.
Mettiamo le mascherine per proteggerci dalla polvere che alziamo quando, attraversando i canneti (ma che ci fanno i canneti su un vulcano!) non più ripulito dalla brezza, il nostro cammino è avvolto da una sabbia finissima.
All'arrivo in piazzetta trasuda dai nostri sorrisi l'odore del metallo, di zolfo e borace, sembriamo operai di fonderia a fine turno .
E' mezzanotte e in barca ci aspettano vino bianco fresco, olive e melanzane piccanti, uno sformato di pasta e il melone fresco ma il sapore del vulcano, scacciato dal palato, rimane nelle narici.
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