La scorsa settimana mio fratello Netty (lui in realtà si chiama Bruno e così lo chiamano i suoi pazienti ma per noi di famiglia è sempre stato Netty) mi ha portato un libro intitolato Storia dei complessi musicali bresciani che ci vede citati tra i gruppi che hanno segnato gli anni (dal 1964 al 1971) in cui si faceva musica dal vivo prima dell'avvento delle discoteche.
Rileggerlo e scorrere i nomi di tanti musicisti, la gran parte totalmente sconosciuti al grande pubblico, mi ha riportato un velo di nostalgia per un periodo fantastico in cui suonare era una grande passione.
Io avevo undici anni e non suonavo ancora, mi occupavo di "tirare giù i pezzi", di starmene cioè attaccato al giradischi per ore ad ascoltare un brano e a trascriverne il testo cogliendone i suoni più che il senso " a lov laik aurs uill never dai ... End ai lov er" ed è così che ho imparato l'inglese che non ho mai studiato a scuola.
Imparavo anche da mio fratello Ezio il senso dell'organizzazione, l'impegno, il gusto per la qualità che nasce da prove su prove su prove e poi nel '70 venne il mio turno e furono due anni fantastici.
Suonavo il basso e cantavo ma facevo tutto a orecchio (un pallido tentativo di contrabbasso al conservatorio fallì miseramente tra i gracidii di un archetto che non voleva saperne di cavare un suono decente) d'altra parte avendo passato cinque anni ad ascoltare un pezzo per ore ed ore ne conoscevo a memoria tutte le sfumature.
Suonavamo tre sere a settimana (più una o due sere di prove)e i Natale e i Capodanno erano sempre in "Tournee" da qualche parte: una fatica boia ma un divertimento altettanto forte.
E' in quegli anni che ho imparato a "stare sul palco", che quando si sale per cantare si deve essere preparati e che il pubblico deve avere sempre il massimo perchè è lui che in realtà paga il tuo ingaggio.
E' suonando che ho imparato a fare con dedizione qualcosa che mi appassiona e scoprire che in questo modo non senti la fatica e arrivi a fine serata senza accorgertene e fra l'altro avviene quasi automaticamente che alla soddisfazione personale si aggiunga anche il vantaggio economico.
Suonando i pezzi dei Chicago e dei Blood Sweat & Tears, quando ancora era in auge la musica "beat", ho imparato il gusto e il rischio dell'innovazione, di seguire terreni non ancora battuti e di far ballare proponendo musica di grande qualità.
Fui costretto a smettere perchè mio fratello doveva studiare medicina e non poteva continuare mentre io diciassettenne non avevo la patente per poter andare a fare la stagione sul lago con Andrea e Roger (organo e batteria) che avevano avuto un ingaggio importante.
Ho smesso di suonare "professionalmente" ma non ho mai smesso di suonare da allora nè di amare la musica che è ancora per me fonte di grande gioia e adesso che mi sono rimesso d'impegno a studiare violoncello mi torna come per incanto l'immagine dei pomeriggi passati a "tirare giù i pezzi", a ripetere un passaggio dieci, venti, cento volte senza che nessuno me lo imponga ma per il gusto di suonarlo come si deve.
Con questo libro mi è tornata a galla "la storia", quella che non ti lascia perchè fa parte di te, come quando rivedi le foto della prima comunione o della gita scolastica di quinta elementare, la storia di cui fai parte e ne sei artefice, quella che ti plasma e che segna la tua vita, quella che devi capire per capire dove andare.
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