E' morto il 13 agosto ma l'ho saputo solo l'altro ieri quando mi ha telefonato Miranda, sua moglie, per darmi la notizia.
Aveva 91 anni ed era uno degli ultimi sopravvissuti a Mauthausen, per me un maestro di vita e gli ho sempre voluto molto bene.
Lo conobbi nel 1970 quando andavo al liceo con sua figlia Eliana e cominciai a frequentare casa Barbieri di cui amavo l'atmosfera gioiosa e caotica, il profumo di colori a olio e di trementina, le serate con gli amici di Agostino e Miranda a parlare di politica e di arte.
Con Eliana cominciò un legame che durò per quattro anni e furono anni di quotidiana presenza dai Barbieri in via Negrelli e imparai a voler bene ad Agostino, ad ascoltarne i racconti per cercare di capire come fosse possibile scampare all'orrore di Mauthausen e non essere vinto dal rancore, ad avere visto la morte negli occhi come pochi altri e mantenere un così grande amore per la vita.
Agostino mi ha insegnato a leggere un quadro, ad amare la pittura, ad amare Cezanne e a restare a lungo davanti a un quadro cercando di coglierne il racconto.
Mi piaceva starlo a guardare mentre lavorava e non osavo domandare o parlare.
Ma poi a tavola gli chiedevo come nascessero le sue immagini, il rapporto tra realtà e immagine, quale fosse la funzione dell'artista e le risposte erano sempre lucide e decise e molto di quello che ho imparato da lui me lo sono portato dentro nell'oculare della macchina fotografica
Mi ha incoraggiato quando con suo figlio Alberto abbiamo cominciato a fare fotografia prima e serigrafia poi, per lui stampai le serigrafie dedicate al lago di Garda che rimangono secondo me un capolavoro ed è pensando a lui che scattai una delle foto più belle di quel periodo, il reticolato di Mauthausen.
Mi ha insegnato la schiettezza e la risata fragorosa e a non abbassare la testa di fronte all'ingiustizia, lui che non smetteva di indignarsi di fronte alle piccole e grandi ingiustizie della vita.
Mi ha insegnato a combattere l'imbecillità e la mediocrità delle persone, soprattutto quando si trovano a gestire un potere seppure piccolo come quello di una Amministrazione Comunale.
Guardandolo indietreggiare piano piano e poi sedersi a guardare il suo quadro dopo l'ultima pennellata ho imparato la magia di quel momento che segue il completamento di un lavoro, di un progetto, grande o piccolo che sia: contemplare il frutto del proprio lavoro, compiacersi del risultato non è un atto di superbia, è un atto d'amore e soprattutto un omaggio al tempo del fare con il tempo del non-fare, come un marinaio che si ferma al porto prima di intraprendere un nuovo viaggio.
Da allora l'ho sempre fatto: quando finisco un lavoro mi fermo, guardo e lascio che il pensiero riposi lì e non rincorra nuove mete, guardo l'opera come se fosse l'ultima possibile.
Quando il legame con Eliana finì, smisi di frequentare la casa di via Negrelli ma non smisi di voler bene ad Agostino ed era sempre piacevole incontrarlo in paese e fare quattro chiacchiere e ci sentivamo spesso per farci gli auguri o per raccontarci un viaggio.
Un giorno lo vidi con la telecamera e mi stupii di vedere un pittore con un uno strumento "tecnologico" e lui mi disse ridendo che solo gli sciocchi si fermano alle tecniche che conoscono e smettono di sperimentare, lui che iniziò da bambino scolpendo lapidi e putti per le tombe del cimitero di Isola della Scala e che ha fatto della pittura uno strumento di grande bellezza e di grande forza.
Provava spesso nuove tecniche e mi piaceva quella ricerca non tanto di mezzi espressivi ma di unione tra il messaggio, lui e il mezzo, Era la ricerca di un equilibrio in cui ogni elemento doveva un pò adattarsi.
Ho amato i suoi ritratti, le sue nature morte, le sue chine colorate e quel suo modo unico di cogliere i colori e i contorni del lago.
Scomponeva le forme e coglieva l'essenza delle cose, mia madre mi confessò un giorno, guardando una natura morta che ho a casa e che Agostino mi aveva regalato dopo il lavoro delle serigrafie, che quelle mele le sembravano dei sessi femminili. Le diedi ragione e credo che Agostino volesse proprio simboleggiare questo legame tra la natura e la sua capacità di generare la vita donna o mela che fosse.
Amava le forme tonde, le sue donne mi sembravano sculture di Henry Moore, nemmeno nei quadri della deportazione ci sono spigoli o angoli retti. "L'occhio non deve trovare inciampi e fermarsi" mi diceva.
Solo molti anni dopo il suo ritorno dalla deportazione, nel 1969, fece una serie di quadri capolavoro e non tornò più sul tema, come se avesse liberato in quei disegni e in quelle tele tutto il dolore che aveva visto e vissuto.
Non parlò mai di quell'esperienza ma non smise di andare nelle scuole a parlare di resistenza al nazismo e si arrabbiava se non lo invitavano alle manifestazioni del 25 aprile: "loro non sanno, loro non c'erano, io sì e siamo ormai in pochi a poterlo raccontare. Guai se si perde la memoria! ".
Scrisse anche un paio di libri per raccontare la sua storia ma non li ho letti volentieri perchè la sua voce tonante e i suoi occhi azzurro intenso si perdevano nella lettura solitaria delle sue pagine.
Agostino voleva tanto esporre i suoi quadri a Desenzano ma, un pò per il suo carattere brusco e un pò per la mediocrità dei suoi interlocutori la cosa sembrava impossibile e lui avrebbe voluto non solo esporre ma che alcune sue opere facessero parte di una possibile pinacoteca comunale.
Quando chiese di esporre la serie dei quadri di Mauthausen, i soli quadri al mondo che raccontino in pittura una simile tragedia, gli risposero che non era possibile perchè dato che la galleria d'arte comunale è in piazza Malvezzi, la piazza centrale della città, quelle immagini avrebbero turbato la serenità dei turisti.
Per fortuna l'amministrazione cambiò e approfittando del mio ruolo di "assessore ombra" ai tempi del progetto Onde, convinsi il sindaco Rocca e soprattutto Lidia Libertini l'assessore alla cultura a fare la mostra del lavoro di Agostino con le sue opere più belle e anche con alcuni dei quadri della deportazione e sono felice di aver contribuito ad esaudire un suo desiderio e Agostino me ne è sempre stato sinceramente grato.
Io ho cercato poi a modo mio di rendergli omaggio: quando nacque SPC Italia e aveva sede a Desenzano, usai una sua serigrafia come regalo di ringraziamento per gli ospiti che intervennero e dato che la sede aveva belle aule e soffitti alti in un palazzo del centro gli offrii quelle pareti perchè esponesse liberamente i suoi quadri e li cambiasse a suo piacere.
Volevo che avesse un suo museo permanente e che chiunque potesse gratuitamente vederne le opere ma il sogno si interruppe quando fummo costretti a trasferire SPC a Milano. Feci comunque acquistare a SPC la cartella delle serigrafie del garda ed è l'unica volta che sono riuscito a fare una cosa che credo doverosa per un'azienda: investire parte dei propri soldi per contornarsi di bellezza e d'arte.
Visto che non c'ero riuscito con il museo vero ci ho provato con il suo museo virtuale e pur essendo ormai fuori dal progetto Onde ho spinto perchè con l'aiuto di un gruppo di stagisti il suo lavoro venisse catalogato e ordinato sul web.
Ho scoperto che parte di quel lavoro non è andato perduto anche se, per la stessa stupidità che ne impediva le mostre, si è fermato alla sola raccolta di alcune immagini: chissà se ora che è morto correranno ai ripari? Andatelo a vedere, ci sono comunque immagini bellissime.
Mi fece grande tenerezza quando Miranda, la compagna della sua vita, si ammalò e mi disse che ora aveva un motivo in più per vivere: doveva prendersi cura di lei, lei che lo aveva riportato in vita quando uscì dal campo di concentramento e pesava trenta chili.
Quanto amore in quelle parole, quanto senso di ciò che è giusto!
Miranda mi ha detto al telefono che Agostino si è lasciato morire quando gli anno fatto capire che la malattia della moglie non aveva speranza, e quindi che il suo "prendersi cura" non aveva più possibilità di vincere.
Se n'è andato in silenzio, non ha voluto funerale e non ha voluto che si sapesse, si è fatto cremare perchè ha voluto finire come uno dei tanti milioni che morirono nei forni crematori, gli sembrava così di rendere giustizia riunendosi a coloro che non erano riusciti come lui a tornare dall'inferno.
Per rendergli omaggio ho ripescato dall'archivio delle mie negative le foto che gli feci trent'anni fa e voglio ricordarmelo così come quando lo conobbi: era più giovane di mio padre di un anno e mi sembrava un vecchio saggio ma aveva poco più degli anni che ora ho io.
Voglio ricordarmelo così, con la luce del pomeriggio che lo abbraccia e lo unisce alla tela in cui lui racconta la "sua" luce o in poltrona mentre ride e discute con gli amici.
Non so se essere triste per la sua scomparsa o felice per avere avuto la grande fortuna di conoscerlo e di farlo conoscere ai miei figli perchè la storia non si fermi.
Non so se rimpiangere le molte cose che non gli ho chiesto o se gustarmi tutte le risposte esplicite e silenziose che mi ha dato.
Sono comunque contento di questo intenso pomeriggio passato a scrivere questo lungo testo, è come se fossi stato ancora con lui a parlare di gioia e di bellezza, di immagini che raccontano e che non smettono di quadri che devi vedere dal vivo perchè non c'è riproduzione che renda giustizia di un quadro visto in una mostra, come una musica ascoltata dal vivo.
Non è facile credermi ma io sono convinto che lui ci fosse per davvero qui intorno perchè ho rifatto molte volte l'impaginazione e aggiunto e riscritto i testi finchè non "sentivo" che avevo detto tutto quello che c'era da dire.
E farò comunque come mi ha insegnato lui, di fronte a queste pagine di blog che raccontano la storia del nostro incontro: farò adesso un passo indietro e mi fermerò a contemplare in silenzio.
Mi lascia stupore che la mia ricerca del pittore A Barbieri scoprire del suo recente decesso.Posseggo un sua opera battuta ad un asta nel 1956 al quanto bizzarra con una tetnica favolosa. Gradirei saperne di più. Cordiali saluti Graziano
Scritto da: graziano | 08/29/2006 a 20:43