Una premessa: mi colpiasce molto in questa tappa a Lorne del nostro viaggio in Australia, il grande apporto del volontariato della comunità per il funzionamento complessivo della comunità stessa.
Pete, che è tra i fondatori di una specifica fondazione per la promozione e la crescita della cittadina, Lorne ha poco più di 1.200 abitanti che diventano 20.000 in estate, che sta davvero innestando processi di cambiamento profondi: un festival di musica e performing art, un festival rock che da solo porta 16.000 persone, una mostra di sculture all'aperto, e poi corse ciclistiche e gare di nuoto che stanno spostando il baricentro della stagione turistica da gennaio, che qui è come il nostro agosto, ai mesi di spalla, novembre-marzo.
Ma non è solo il "Committee for Lorne" che spinge il piccolo miracolo: tutti gli eventi sono retti dai volontari, ma anche il surf club, il campo di calcio, ovviamente i pompieri e i volontari del soccorso.
Qualcuno può obiettare: dov'è la novità? Anche da noi funziona così.
Vero, la Scuola di Musica del Garda non esisterebbe senza i volontari ma... è come se da noi il volontariato fosse intanto più per "beneficenza" che per reale coscienza sociale ma soprattutto ogni ente e associazione lavora per conto proprio come un solitario pioniere in un campo ostile, mentre qui il volontariato è diventato "sistema sociale collaborativo".
Dato che tutto ciò che sta avvenendo in rete esalta modelli collaborativi, è chiaro che le mie antenne sono in assoluta allerta.
Ovviamente il tutto è facilitato dal fatto che Lorne sia una cittadina piccola in cui le relazioni sociali sono dirette e immediate, ma su cui si innesta una caratteristica molto australiana dal mio punto di vista: una accoglienza spontanea e una predisposizione alla socialità che ho trovato dovunque sia stato finora.
Gli Op Shop
Gli Opportunity Shops sono un'esempio molto interessante di come il volontariato sociale diventi sistema.
Gli Op Shops sono diffusi in tutta l'Australia e discendono da una tradizione cooperativa nata nel mondo anglosassone in gran parte durante la seconda guerra mondiale, raccolgono oggetti usati dalle famiglie, li risistemano, li suddividono per categoria e li rivalorizzano vendendoli ad altri della comunità stessa. Con il ricavato vengono finanziate altre iniziative sociale.
Anche da noi direte: i centri di aiuto ai profughi, alle mamme sole, ai senzatetto fanno cose simili. Appunto simili ma profondamente diverse.
Quando pensiamo al riciclaggio pensiamo a "buttare via in modo efficiente", gli Op Shop fanno riciclaggio attivo che ripulisce gli oggetti, ripara dove necesario, rigenera e rivitalizza ma soprattutto li rivalorizza per il loro valore d'uso e li mette in vendita come in un negozio "normale" non accatastando le cose come nei mercatini di seconda mano o nelle garage sales americane.
Il team delle signore
Il negozio è tenuto a turno da signore volontarie, generalmente anziane, che agiscono a turni di tre: in tutto più di 36 signore (6 al giorno per 6 giorni alla settimana) si danno il cambio a gestire, sistemare, promuovere, suggerire.
Già questo è un fatto in sè: 36 anziani che diventano attivi, che socializzano, incontrano, parlano... parlano un sacco... che sono socialmente attive e orgogliose del loro agire.
Il reinvestimento
Il ricavato delle vendite costruisce un tesoretto che viene reinvestito in investimenti socialmente utili: lo scorso anno 250.000 dollari per costruire miniappartamenti per i parenti dei lungodegenti dell'ospedale, l'anno prima 50.000 dollari per una nuova auto per i pompieri, quest'anno, un primo acconto di 15.000 dollari per il salone del centro anziani.
Il riciclo non diventa carità, diventa infrastruttura della comunità che fa capire concretamente il valore dell'Op Shop per cui la gente guarda a quella vetrina con un occhio diverso e motiva al potenziale acquisto.
Il modello virtuoso
Ovviamente il modello economico è quanto di più efficiente si possa immaginare: costi praticamente a zero, i locali sono offerti o dal comune o da qualche privato che offre così la propria dose di volontariato sociale, oppure sono proprietà dell'Op Shop stesso che ha investito una parte dei ricavi nella propria strutturazione, costi trascurabili per i beni da rivendere che vengono donati, costi praticamente nulli per la gestione.
Un sistema altamente virtuoso che rigenera beni, li offre sotto nuova luce di valore, li trasforma in infrastruttura sociale e nel processo coinvolge gli anziani della comunità in una attività che li obbliga alla relazione con gli altri e nel contempo dimostra che gli anziani sono portatori di valori e di utilità sociale quanto i beni che vengono da loro riciclati.
Quando ho chiesto alle tre signore dell'Op Shop di farsi fotografare per raccontare questa storia, non hanno avuto esitazionie e ridevano di gusto, orgogliose del riconoscimento del loro lavoro, ma mi è venuta in mente subito una parola: dignità.
Il risultato ultimo è una comunità che si fa sistema e in cui le interazioni tra i diversi livelli sono tali per cui è lampante che nulla funzionerebbe senza l'apporto dell'altro.
La rete, appunto.
Che magnifici spunti per noi Gigi! Sei grande in qualsiasi parte del mondo!
Scritto da: Fiammetta Bada | 03/17/2016 a 08:26