Dopo lo spettacolo de La Bulla di Sapone qualcuno mi ha fatto notare che era un'opera più per adulti che per bambini: i giochi di parole (il maestro "Severo" che abbandona il "se" e diventa "vero"), la visione cosmica mahleriana della vibrazione, i riferimenti classici al concetto di "per-fectum" (vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Perfezione) sono tutti elementi che richiedono un livello maturo di comprensione.
Ma non è questo il punto: i bambini capiscono Caravaggio? Certamente non come un aduto, ma un lavoro "ben fatto" offre a ciascuno il proprio livello di comprensione di cui è capace, a ciascuno invia il grado di profondità che è pronto a ricevere e non si stancherà mai di rivedere quell'opera che ogni volta avrà qualcosa di nuovo da dirgli.
Il compito assegnatoci dal maestro Mauro Montalbetti era proprio quello di creare un'opera che fosse comprensibile musicalmente e concettualmente sia a un pubblico adulto che di bambini che era il target principale, cosa che contraddistingue opere analoghe come il Brimborium o il Pollicino di Henze, con la difficoltà non banale di creare un opera unitaria ma scritta da quattro compositori diversi.
Nella lunga fase di preparazione abbiamo dialogato continuamente sul senso di ogni frase, di quale fosse il messaggio che intendevamo mandare, di come la musica dovesse esprimerlo, di come i diversi passaggi tra momenti delicati e dinamici, dovessero creare un crescendo verso il momento di massima tensione dell'incidente per poi svilupparsi verso la "catarsi" del finale.
Per sciogliere ogni dubbio sulla capacità di comprensione dei bambini basta pensare un momento al fatto che a recitarla erano proprio loro, un'opera scritta da adulti ma recitata da bambini: chi ha assistito allo spettacolo ha visto la qualità degli interpreti e il loro coinvolgimento, impossibile se non di fronte a una comprensione emotiva di ciò che erano chiamati a narrare.
Se poi penso al fatto che quattro dei sette interpreti erano entrati nel nuovo cast solo due mesi prima e che uno dei protagonisti ha 8 anni... non ho dubbi, i bambini capiscono.
Mi ha colpito una frase di Emma, la protagonista nel ruolo della Bulla, che quando le ho chiesto se fosse contenta e lei mi ha risposto che era molto bello, nel pomeriggio, vedere così tanta gente, ma che si era divertita di più negli spettacoli del mattino per le scuole: "Lo abbiamo fatto per loro ed è a loro che è più giusto raccontarlo".
Certamente Emma è una ragazzina di una maturità sorprendente per la sua età ma la sua risposta mi ronza ancora nella testa: non solo aveva capito ma aveva colto il "senso" di ciò che abbiamo messo in scena.
Quando crediamo che un concetto non sia comprensibile, non è che siamo noi a non saperlo esprimere? Non è che siamo noi che non siamo capaci di metterci nella giusta dimensione di fiducia nelle capacità di chi ci ascolta?
Bambini o adulti non fa differenza in fondo, tutto dipende dalla nostra capacità di metterci realmente dall'altra parte del palcoscenico: se crediamo di avere qualcosa di importante da dire, non per autocompiacimento o per segnare una distanza (io ho capito e tu no) ma per desiderare realmente che chi ci ascolta riceva il messaggio fidandoci profondamente della sua capacità di capire, allora "tutto si compie", tutto accade nel modo giusto e raggiunge il suo scopo. E' "perfetto".
Quando più di duemila anni fa i grandi tragici greci affrontavano temi filosofici complessi come, il rapporto tra umano e divino, il rispetto della legge, il rapporto tra genitori e figli, non credo proprio che pensassero: chissà se il pubblico capirà? Sapevano che la meticolosa scelta delle parole, la forza delle metafore, la potenza del teatro avrebbero assolto il compito di far arrivare il messaggio ma soprattutto fidavano nell'intelligenza dei loro concittadini.
"I miei nipotini (3 e 5 anni) che hanno assistito allo spettacolo, nella scena culminante dell'incidente, sono rimasti molto colpiti e hanno subito commentato: non si fa così, non si fa del male!" Hanno capito subito il senso di scelta tra "il bene" e "il male", tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, che La Bulla di Sapone esprime.
Tra l'altro, con grande sensibilità di educatore, Alessandro il regista è intervenuto alla fine della seconda rappresentazione (c'era state piccole inptemperanze del pubblico di ragzzi delle scuole medie) per invitare a scegliere appunto "da che parte stare"
Marina mi diceva che sarebbe stato bello, dopo lo spettacolo, fare una sorta di "teatro-forum" per commentare e sottolineare alcuni aspetti più profondi del lavoro sia nei contenuti che nella componente artistica e musicale.
Non so. Confido che la bellezza delle scene e della musica comunque diano a ciascuno ciò che diventa importante per lui, piuttosto che cercare una spiegazione universale di un possibile valore.
Se un esperto mi aiuta a leggere un quadro di Caravaggio o un grande direttore d'orchestra come Benjamin Zander mi aiuta a capire la grandiosità di Mahler, di certo il mio livello di comprensione cresce e riesco ad andare più in profondo, ma quello che conta, in fondo, è quello che quell'opra ha detto a me.
Il compito dell'arte e della musica, come mi ha insegnato Carlo Boccadoro, non è di dare risposte, ma piuttosto di suscitare domande.
Emma, i miei nipoti, l'amico che mi ha fatto la cosiderazione da cui sono partito, si sono fatti domande e ciscuno si è dato una risposta, valida in quanto personale, vuol dire che La Bulla di Sapone ha assolto al suo compito.
Io mi emoziono ogni volta che rivedo lo spettacolo e, pur avendone scritto il testo e alcune musiche, non finisce di stupirmi e anche ora che mi accingo a rivedere le slides delle prossime conferenze mi accordo che mi sta insegnando qualcosa, mi sta ponendo domande.
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